Secondo la Corte costituzionale, nel 2021 dare il cognome del padre ai bambini non è più accettabile: non rispetta l’uguaglianza tra uomini e donne. Le senatrici del PD accolgono con entusiasmo questa sentenza.
All’indomani della scelta dei ministri del Governo Draghi, si torna a parlare di famiglia. Famiglia come perno della società in cui si apprendono le basi del rispetto e dell’uguaglianza. E, pertanto, non è più ammissibile che nel 2021 i bambini debbano necessariamente portare il cognome del padre. A dirlo è la Corte costituzionale che – riferisce SkyTg24 – nel riprendere una sentenza del 2016, ha ribadito che l’attuale sistema di attribuzione del cognome paterno ai figli un retaggio di una concezione patriarcale della famiglia, emblema di una superata potestà maritale. Pertanto che ancora oggi ai neonati venga attribuito il cognome del papà – stando alle dichiarazioni della Consulta – non può essere accettato poiché non rispetta l’uguaglianza tra uomo e donna.
Tutto è nato dal Tribunale di Bolzano che ha chiesto di dichiarare incostituzionale l’ articolo 262 del Codice civile – che stabilisce come regola l’assegnazione ai figli del solo cognome paterno – laddove non prevede la possibilità di trasmettere al figlio, di comune accordo, il cognome della madre invece di quello del padre. La Consulta, dunque, si è posta il quesito: l’accordo dei genitori sul cognome da dare al figlio può rimediare alla disparità se, in mancanza di accordo, prevale comunque quello del padre? Da qui la messa in dubbio della legittimità stessa dell’articolo 262. La conclusione che ha tratto la Corte costituzionale è stata che, al di là della legittimità legittimità costituzionale, un giudice deve sempre tenere conto del contesto nel quale le norme sono inserite. Pertanto una norma perfettamente coerente con il sistema di valori vigente in passato, può risultare del tutto inadatta a rappresentare il sistema valorale odierno.
Le reazioni delle senatrici del PD
La Corte ha inoltre osservato che, qualora venisse accolta la prospettazione del Tribunale di Bolzano, in tutti i casi in cui manchi l’accordo tra i due genitori del bambino,varrebbe la regola che impone l’acquisizione del solo cognome paterno. E poiché si tratta dei casi verosimilmente più frequenti, verrebbe ad essere così riconfermata la prevalenza del cognome del padre che, però, risulta oggi incompatibile con il valore dell’uguaglianza tra uomo e donna.
La sentenza della Corte costituzionale è stata accolta molto positivamente dalla Valeria Valente, senatrice del Partito Demcratico, che già festeggiò nel 2016 la legge sulle unioni civili. Valente – riporta Adnkronos – ha commentato: “E’ una sentenza storica, viene riconosciuto pieno valore al principio costituzionale di uguaglianza tra uomo e donna“. Non si è ancora pronunciata la senatrice Dem Monica Cirinnà, prima firmataria della legge sulle unioni civili la quale, sicuramente saluterà con un applauso la sentenza della Consulta. Nel 2019 Cirinnà tuonò contro il Governo gialloverde che aveva reinserito la terminologia “madre” e “padre” nei documenti dei minori. La senatrice del Pd, infatti, è da sempre sostenitrice della dicitura “genitore 1 e genitore 2” per rispettare la pluralità dei contesti familiari.