Le autorità di Pechino ha tenuto nascosto che l’estate scorsa nei loro allevamenti è stato isolato un nuovo ceppo virale dell’influenza suina potenzialmente letale per l’uomo
La missione della task force dell’Organizzazione Mondiale della Sanità a Wuhan, Cina, per tentare di individuare l’origine della pandemia di Covid, scandita dalle polemiche tra USA e Cina, con gli Stati Uniti che accusavano Pechino di non voler condividere i dati e i materiali e la Cina che, a sua volta, accusava Washington di politicizzare una missione scientifica, si è conclusa con il classico buco nell’acqua: del resto, era prevedibile arrivando in quello che è stato il primo focolaio al mondo più di un anno dopo la sua deflagrazione. In compenso, è emerso che le autorità di Pechino hanno fatto passare sotto traccia che negli allevamenti cinesi l’estate scorsa è comparso un nuovo ceppo virale di influenza suina potenzialmente letale per l’uomo. La peste suina è una malattia fortunatamente innocua per l’uomo ma è devastante per il mercato tanto che la sua comparsa ha fatto diminuire la produzione cinese di carne di maiale– di cui la Cina è il più grande produttore al mondo – di oltre il 20%.
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Cina, nuovo ceppo virale dell’influenza suina potenzialmente letale per l’uomo. Cina incubatrice perfetta delle nuove forme virali
Per quanto la peste suina non sia nociva per l’uomo, come detto, tuttavia è opportuno ricordare che, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, negli ultimi 30 anni le zoonosi, le malattie che dagli animali si trasmettono all’uomo, hanno costituito il 70% delle malattie infettive insorte. Queste malattie, favorite dal cambiamento climatico e dallo sfruttamento degli ecosistemi, scaturiscono per la maggior parte dagli animali selvatici e se è vero che compaiono in tutto il mondo, è indubbio che le più letali abbiano avuto origine in Cina per poi diffondersi in tutto il mondo. D’altronde, la Cina è il terreno di coltura ideale per le nuove forme virali dal momento che le modalità di allevamento degli animali e di macellazione, in un contesto di scarsità di igiene e di controlli, agevolano gli scambi di agenti infettanti. Inoltre, ad aggravare un tale quadro, già di per sé caratterizzato da criticità, alcune abitudini culturali quali la promiscuità tra animali e persone e la mescolanza di animali vivi e morti, tipiche dei mercati umidi, che amplificano le possibilità di passaggio dei virus.
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Ecco perché, cessata l’emergenza sanitaria, non sarà più tollerabile che la Cina perseveri su questa strada. È necessario, quindi, che Pechino aumenti i controlli sul consumo e sul commercio della fauna selvatica e armonizzi la vigilanza delle malattie animali con quella che viene fatta nel resto del mondo.