Una mutazione a carico del gene che codifica per la proteina Spike ha reso il Covid otto volte più contagioso rispetto al patogeno originario
Uno studio condotto da ricercatori britannici sulle varianti del Covid ha accertato che quest’ultime denotano una maggiore trasmissibilità rispetto al ceppo primario in una misura che varia dal 30 al 70%. Gli esiti di un altro, pubblicato sulla rivista scientifica “eLife” e condotto dai ricercatori dell’Università di New York in collaborazione con i colleghi del New York Genome Center e della Icah School of Medicine di Mount Sinai, indicano che una mutazione nel gene che codifica per la proteina Spike di Sars-Cov-2, nota come D614G, ha reso il virus fino a otto volte più contagioso rispetto al patogeno inizialmente isolato in Cina. La D614G è, attualmente, la forma di Sars-Cov-2 predominante in molti Paesi, presente anche nelle varianti isolate nel Regno Unito (B.1.1.7), in Sudafrica (501Y.V2) e in Brasile (P.1). “Confermare che la mutazione porta a una maggiore trasmissibilità – ha spiegato Neville Sanjana del New York Genome Center, assistente del Professore di neuroscienze e fisiologia Grossman della School of Medicine dell’Università di New York e coautore dello studio – può aiutare a spiegare, in parte, perché il virus si sia diffuso così rapidamente nell’ultimo anno“.
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Coronavirus, una mutazione lo ha reso otto volte più contagioso. “Infetta le cellule umane in modo più efficiente”
La suindicata mutazione a carico della proteina Spike, la via d’accesso utilizzata dal Covid per infettare le cellule bersaglio, inoltre, ha reso il virus più resistente alla scissione proteolitica ad opera della proteasi, l’enzima che catalizza la degradazione proteica. “Ciò fornisce una possibile spiegazione del meccanismo per cui ha una maggiore capacità di infettare le cellule, in quanto una variante più resistente può produrre una percentuale maggiore di proteine Spike intatte“, hanno spiegato gli scienziati.
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“I nostri risultati – ha aggiunto Zharko Daniloski, borsista post-dottorato presso il laboratorio di Sanjana dell’Università di New York e primo autore dello studio – sono abbastanza inequivocabili: la variante mutata infetta le cellule umane in modo molto più efficiente rispetto al virus originario”. Tuttavia, non è ancora chiaro se la suddetta variante abbia un impatto sul decorso dell’infezione da Covid-19 o se possa compromettere l’efficacia dei vaccini che al momento vengono somministrati e che sono stati sviluppati utilizzando proprio la sequenza genica della proteina Spike del virus originario. “La ricerca di questo lavoro è essenziale per comprendere i cambiamenti biologici di una determinata variante virale – ha concluso Benjamin Oever, Professore di Medicina della Icahn School of Medicine a Mont Sinai e autore senior dello studio – Attualmente stiamo portando avanti studi analoghi per studiare gli effetti delle altre mutazioni presenti nelle varianti inglese, brasiliana e sudafricana“.