Si sono aperte le porte del carcere per Roberto Lo Giudice, marito di Barbara Corvi il cui corpo, secondo una fonte ancora anonima, sarebbe stato “sciolto nell’acido”. Il movente si inscrive in quella mentalità mafiosa per la quale “la donna non ha autonomia e ogni tradimento deve essere lavato con il sangue”
Svolta nelle indagini sulla scomparsa di Barbara Corvi: è stato arrestato il marito Roberto Lo Giudice per omicidio volontario e occultamento di cadavere. Determinanti le intercettazioni ambientali e il contributo di tre collaboratori di giustizia, come ha spiegato in conferenza stampa il Procuratore della Repubblica di Terni, Alberto Liguori: “I misteri che avvolgevano le prime investigazioni sono stati chiariti anche grazie al contributo offerto da plurimi collaboratori di giustizia un tempo facenti parte del clan Lo Giudice, quelli delle bombe ai giudici di Reggio Calabria del 2010“. Il corpo della donna non è mai stato ritrovato perché, secondo quanto rivelato da una fonte ancora anonima, “penso che sia stata sciolta con l’acido“. Lo Giudice non avrebbe agito da solo ma in concorso con il fratello Maurizio, anche lui indagato. Le indagini, condotte dall’Arma e coordinate dalla Procura della Repubblica umbra, hanno demolito “la tesi dell’allontanamento volontario e il prosciugamento dei conti correnti di Barbara per garantirsi la fuga, la manipolazione del pc di Barbara per accreditare intenti suicidari il giorno prima della scomparsa, le due cartoline spedite da Firenze il 5 ed il 6 novembre 2009 da Barbara ai figli e le vere ragioni della presenza di Roberto Lo Giudice a Reggio Calabria, appena 18 giorni dopo la scomparsa della moglie”.
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Nel corso della conferenza stampa convocata dal Procuratore capo della locale Procura della Repubblica, Alberto Liguori è stato reso noto il contenuto di un’intercettazione in cui lo stesso Roberto Lo Giudice, a proposito della scomparsa della moglie, confessa: “Sì, c’entro pure io”. Riguardo al movente, è stato evidenziato che alla questione passionale, la gelosia maturata in un contesto di cultura mafiosa. Pare che la donna avesse confessato una relazione extraconiugale. A questo si aggiungono motivi economici legati alle difficoltà dell’attività di ferramenta gestita dalla coppia.
Nondimeno, gli investigatori escludono la matrice mafiosa dell’omicidio, sebbene Lo Giudice, originario di Reggio Calabria ma da anni residente nel comune ternano, sia affiliato all’omonima cosca di ‘ndrangheta e sia imbevuto di quella cultura mafiosa per la quale “la donna non ha autonomia e ogni tradimento deve essere lavato con il sangue. Riteniamo – ha precisato il Procuratore – che l’omicidio si iscriva in un contesto di famiglia d’origine in cui quando un rapporto si interrompe, gli istituti di civiltà come separazioni e divorzi non sono contemplati, a favore di soluzioni di giustizia domestica, privata“.
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