I giudici hanno stabilito che il 47enne Antonio Vena avesse premeditato accuratamente l’omicidio della ex compagna Alessandra Cità. A incastrare l’uomo un messaggio sul telefono.
Di uomini che uccidono – o tentano di uccidere – le proprie compagne o ex compagne se ne sente e legge, purtroppo, ogni giorno. Se c’è chi, riesce, fortunatamente a salvarsi – come accaduto recentemente ad una giovane donna a Mantova – c’è chi invece non riesce a sfuggire al proprio aguzzino. E così è stato per Alessandra Cità, 47enne, tranviera dei mezzi pubblici Atm che – ricorda- la Repubblica – è stata uccisa una sera di aprile 2020. A toglierle la vita il suo ex compagno, Antonio Vena, operaio 47enne di origini palermitane. L’uomo non accettava che la sua compagna, dopo una relazione lunga dieci anni, volesse lasciarlo. E così, dopo aver imbracato un fucile, le ha sparato mentre stava dormendo. Subito dopo andò a costituirsi dai Carabinieri di Cassano d’Adda, nel Milanese ammettendo: “Voleva lasciarmi, l’ho ammazzata“.
Ora Per Vena è stata sentenziata la pena massima: l’ergastolo. i giudici della Corte d’Assise non hanno creduto alla versione del delitto d’impeto e non hanno concesso a Vena le attenuanti generiche. Secondo i giudici l’assassino aveva premeditato tutto. A conferma – riporta Il Giorno – un messaggio su WhatsApp inviato alla vittima poco tempo prima nel quale vena scriveva: “Io aspetterò con pazienza, come ho fatto con Ivana – la ex moglie – a prendermi le mie soddisfazioni”. Un messaggio agghiacciante secondo i giudici, visto il trattamento che l’uomo aveva riservato all’ex consorte: una volta mandata in ospedale a calci, pugni e morsi, un’altra tamponata con il suv in modo che l’auto di lei si cappottasse.
Inoltre non hanno creduto affatto alla versione di lui, che aveva riferito di aver preso il fucile custodito insieme ad altre armi in un armadietto blindato, mentre la casa era già al buio. Molto più probabile – per la Corte – che l’omicida avesse prelevato le armi in precedenza e le avesse nascoste in preparazione del delitto. A ciò si aggiungono altri elementi che sono stati determinanti ai fini sella sentenza: il basculante del garage che Vena sigillò con del fil di ferro quella sera, probabilmente per evitare che la sorella della vittima e il fidanzato – che abitavano a cento metri – potessero udire qualcosa e, di conseguenza intervenire. Per i giudici, pertanto, si è trattato di omicidio premeditato compiuto con la finalità di punire Alessandra che voleva sfuggire al suo possesso. Quanto alla mancata concessione delle attenuanti generiche, anche se Vena non aveva mai aggredito Alessandra in precedenza, però l’aveva più volte minacciata e più volte infastidita. Per di più aveva già tenuto comportamenti di prevaricazione ed offesa nei confronti della ex moglie.