Tutti sapevano ciò che da mesi subiva ma nessuno è intervenuto in modo efficace. E così un dodicenne l’ha fatta finita.
Forse se qualcuno fosse intervenuto per mettere fine alla situazione in modo efficace, forse se qualcuno avesse compreso il reale disagio, la tragedia si sarebbe potuta evitare. Ma con il senno del “poi” è facile parlare. Fatto sta che il Drayke Hardman ha preferito farla finita dopo mesi da incubo. Il bambino aveva solo 12 anni. La tragedia si è consumata nello Stato dello Utah, negli Stati Uniti d’America. Drayke da mesi era tormentato da un compagno di classe ma nonostante gli atti di bullismo fossero noti a tutti, nessuno, nemmeno la sua famiglia, è riuscita ad aiutarlo. Il bambino sia ai genitori sia agli psicologi che lo avevano sentito, non aveva mai parlato dell’idea di togliersi la vita. Anzi, aveva sempre negato. Nessuno si era reso conto di quanto stesse male: chi lo conosceva lo definiva addirittura un bambino solare che amava giocare a basket. Il compagno che tormentava Drayke era stato sospeso ma non è bastato.
Lo scorso 9 febbraio Drayke non è voluto andare agli allenamenti: la sorella lo ha trovato moribondo in camera sua. Nonostante i soccorsi, il giorno dopo il 12enne è morto in ospedale.
I genitori hanno raccontato che qualche giorno prima il bambino era tornato a casa con un occhio nero, ma non aveva voluto dire cosa gli era successo, forse per paura di ripercussioni ancora peggiori. La coppia nel ricordare il figlio, ha voluto spendere due parole anche sull’altro bambino, il “bulletto” che aveva preso di mira Drayke fino a spingerlo al suicidio: “Il nostro dolce bambino è morto questa mattina dopo aver tentato di togliersi la vita la scorsa notte. In un certo senso, questo bullo era anche una vittima, ed è qui che dobbiamo trovare la soluzione: insegnare ai nostri figli che il mondo è rotto, ma loro sono la generazione che lo aggiusterà“- le parole del signor Hardman, il padre della vittima.
Anche in Italia da anni assistiamo a fenomeni di questo tipo: bambini e adolescenti vittime di bullismo sia nella vita reale, a scuola, sia sui social network dove spesso vengono condivisi video e immagini dei soggetti presi di mira. Qualche anno fa una ragazzina, Carolina Picchio, si tolse la vita a 14 anni dopo che qualcuno postò un video di lei svenuta e abusata da cinque compagni di classe. Il padre Paolo, dopo quella tragedia, decise di creare una fondazione per aiutare i ragazzi e le ragazze vittime di bullismo, cyberbullismo e revenge porn. Un modo per onorare la memoria della figlia e prevenire altre tragedie. Un altro fenomeno in crescita sono le vittime di Tik Tok: bambini che si suicidano per vincere sfide assurde e pericolose nel tentativo di dimostrare qualcosa ai compagni che li prendono in giro.