In città si facevano vedere con una utilitaria, mantenevano un profilo basso fingendosi commercianti. Ma gestivano affari illeciti per oltre 90 milioni di euro.
Gli 8 milioni di euro rinvenuti nel giardino del casolare di Giussago – Brescia – sembravano già abbastanza. Ma non erano che una misera parte del business criminale da 93 milioni di euro messo in piedi dalla coppia di coniugi Rossini-Fornari.
Un business che ha potuto contare sul contributo di 27 persone, tra cui il figlio 22enne della coppia, esperto nel creare fatture false. Marito e moglie erano insospettabili agli occhi di tutti: due commercianti dal profilo basso, giravano per il paese con una utilitaria, ma in casa nascondevano almeno 15 milioni di euro. Tutto questo ora è stato stato svelato dalle indagini del Comando Provinciale della Guardia di Finanza e dei Carabinieri di Brescia. La coppia sulla carta era a capo di una società che operava nel mercato dei metalli ferrosi. Ma in realtà, ad arricchire Giuliano Rossini e Silvia Fornari era la loro associazione a delinquere che agiva in tutta la provincia di Brescia. Alla base false fatture ed evasione fiscale. Nel dettaglio ecco come gli atti della Procura spiegano i loro affari: “Mediante continuative emissioni di fatture per operazioni inesistenti da parte di società di comodo a copertura di acquisti in nero di materiale ferroso e non ferroso e restituzione di denaro contante di quanto corrisposto dai destinatari delle fatture, al fine di evasione fiscale e di riciclaggio e autoriciclaggio dei profitti conseguiti con la frode verso l’erario“.
Ma non agivano certamente da soli. Per accumulare 93 milioni di euro gestivano diverse ditte e società “cantiere” utilizzate per l’emissione delle fatture per operazioni inesistenti a copertura degli acquisti di materiale ferroso e non ferroso in nero. Altre società, alcune delle quali romene e ungheresi, invece servivano per ricevere e trasferire i pagamenti delle fatture per operazioni inesistenti e i profitti conseguiti attraverso il servizio di falsa fatturazione. Gli inquirenti hanno sottolineato la pericolosità sociale di marito e moglie, le menti di tutta l’organizzazione malavitosa. Erano loro i geni della truffa. Nemmeno il loro stesso figlio hanno risparmiato da questo giro criminale. Per questo, e per il rischio di reiterazione del reato, per loro il giudice per l’indagine preliminari ha deciso per la misura cautelare in carcere. Arresti domiciliari invece per il figlio, Emanuele Rossini, e per la zia materna del ragazzo, Marta Fonari, che si occupava principalmente delle consegne di denaro contante ai clienti.