Una donna ha deciso di denunciare lo sfruttamento al lavoro, ricevendo il rimborso soltanto dopo diversi anni. Cosa è successo?
Lo sfruttamento al lavoro è una situazione comune in tutto il mondo. Ma sembra che lo sia ancora di più in Italia, dove molte persone sono costrette a denunciare delle circostanze terribili. Il caso di una donna di Lucca è un esempio lampante.
I proprietari di un B&B stavano cercando una collaboratrice domestica per 900 euro al mese, più vitto e alloggio per l’assunzione. Una donna aveva deciso di accettare e di incontrarli, così da firmare il contratto ed iniziare a lavorare. Niente di strano fino a questo punto, se non che doveva occuparsi dell’intero albergo. Le mansioni che doveva svolgere erano diverse da quelle presentate.
Tempo dopo la domestica denuncia la situazione, ma il Tribunale di Lucca respinge il ricorso contro la proprietà del B&B. La donna non era riuscita a dimostrare che le mansioni erano diverse da quelle esposte nel contratto. Così passa un anno, periodo in cui la domestica comincia ad accumulare stress e frustrazione per quella situazione. A quel punto, visto che non poteva più sopportare il suo lavoro, aveva deciso di rivolgersi ad un avvocato.
Vince la causa dopo alcuni anni, ma all’inizio non è stato facile: le valutazioni del caso
Nonostante le poche prove a carico, la donna era riuscita a fornire delle informazioni molto utili. Lei lavorava a partire dalle 7:30 del mattino, preparando i tavoli e servendo i clienti. In seguito puliva le camere fino alle 12:30, per poi svolgere le mansioni di un aiuto-cuoco fino alle 15:00. Il lavoro riprendeva alle 17, con un leggero distacco, e poi alle 19:00-20:00 per la cena. Inoltre curava anche il giardino ed era la custode notturna dell’albergo.
A primo impatto potrebbero sembrare dettagli poco rilevanti, ma la Corte d’Appello di Firenze ha subito individuato una incongruenza. Queste mansioni dovevano essere retribuite come da norma, motivo per cui la donna doveva ricevere subito un risarcimento. Parliamo di una condanna di 11.500 euro per differenze retributive mai erogate nei suoi confronti.
I giudici si sono basati sulle buste paga presentate in aula, sulle testimonianze e sui turni svolti dalla donna. In questo modo ha vinto la causa ed è riuscita ad allontanarsi da un ambiente che non riusciva più a sostenere.