È passato un anno dalla morte di Mahsa Amini, deceduta in seguito ad un arresto della polizia morale iraniana, e le tensioni continuano a segnare il Paese.
Lo scorso 16 settembre Mahsa Amini ha perso la vita a soli 22 anni. Dopo essere stata fermata dalla polizia morale iraniana per non aver indossato correttamente il suo hijab, la giovane è stata arrestata dagli agenti. La sua morte è avvenuta in condizioni che, ad oggi, continuano a destare sospetto. Ed ha portato allo scoppio di accese proteste in tutto il Paese. Ad un anno di distanza da quanto accaduto, la situazione non smette di essere tesa.
La morte di Mahsa Amini, deceduta poco prima di compiere 23 anni, ha segnato un vero e proprio punto di svolta in Iran. La ragazza, nata nel 1999 a Saqqez, era una studentessa universitaria che frequentava la facoltà di Diritto. In quei giorni era nella capitale Teheran, dove vive il fratello, in vacanza con la sua famiglia. È stata fermata da una pattuglia della polizia mentre si trovava nei pressi di una stazione metropolitana.
Gli agenti l’hanno arrestata accusandola di non aver indossato il suo hijab in maniera corretta e spiegando ai suoi famigliari che l’avrebbero scortata in questura, così da farle seguire ciò che hanno definito un “corso di rieducazione morale”. Tuttavia, quando il fratello si è recato lì un’ora più tardi, si è sentito dire che la 22enne era stata trasportata in ospedale.
Iran, l’arresto e la morte di Mahsa Amini
Mahsa Amini è morta dopo tre giorni di coma. Alla famiglia è stato detto che in seguito all’arresto la ragazza avrebbe avuto un infarto e un attacco cerebrale. Nonostante lo scetticismo dei suoi genitori e del fratello – fermamente convinti che la giovane sia stata vittima di violenza da parte della polizia – e una denuncia da parte di Amnesty International Iran, un referto presentato ad ottobre ha dato conferma all’ipotesi dell’infarto.
Secondo il documento, il decesso di Mahsa sarebbe stato collegato ad una malattia cerebrale. La tesi è che la ragazza, già da prima dell’arresto, avesse problemi di salute. La sua morte, stando a quanto sostenuto, “non è stata causata da colpi alla testa e agli organi vitali”. La sua dipartita avrebbe a che vedere con “un intervento chirurgico per tumore al cervello all’età di 8 anni”.
Un’ipotesi che la famiglia di Mahsa ha sempre respinto. Questa ha denunciato le autorità iraniane e la polizia, accusandola di aver picchiato violentemente la giovane. Le testimonianze di alcuni presenti durante l’arresto, hanno messo in evidenza come gli agenti abbiano iniziato a malmenare la 22enne durante il suo trasferimento nel centro di detenzione di Vozara, situata a Teheran.
Le proteste scoppiate in tutto il Paese
Il caso di Mahsa Amini ha attirato subito l’attenzione e lo sdegno della popolazione iraniana e non solo. I tentativi del regime di censurare la notizia non sono serviti ad impedire la sua diffusione a macchia d’olio. La sua morte ha portato allo scoppio di accese proteste in tutto il Paese.
La ragazza è diventata il simbolo della lotta delle donne determinate a combattere per la loro libertà. In Iran, infatti, vige l’obbligo dell’uso dello jihab. Si tratta dell’unico Paese, insieme all’Afganistan, in cui continua a persistere tale legge, in vigore dal 1981. La popolazione femminile deve seguire un preciso codice di abbigliamento e, dal 2005, la polizia morale ha il compito di accertarsi che non vi siano trasgressioni.
Sono tante le donne che, nel corso degli anni, hanno denunciato violenze e abusi per mano delle autorità iraniane. La morte di Mahsa è diventata emblematica, riscuotendo un’eco internazionale e dando la spinta a migliaia e migliaia di persone di scendere in piazza per protestare contro il regime al grido di Donne, Vita, Libertà.
Ciò che desiderano i manifestanti non è solo il ritiro dell’obbligo di indossare lo hijab ma, in senso più ampio, il crollo della Repubblica islamica. Il governo ha risposto alle proteste facendo ricorso alla violenza. In seguito alla morte di Mahsa, oltre 500 persone hanno perso la vita (di cui 71 erano bambini) e più di 19 mila sono state arrestate (tra manifestanti, oppositori politici e giornalisti).
La situazione oggi, ad un anno dalla morte di Mahsa
La reazione del regime, tuttavia, non è riuscita a fermare la rabbia dei cittadini iraniani. E a distanza di un anno dalla dipartita della 22enne, la situazione continua ad essere molto tesa. Il governo si è subito messo in moto per placare i manifestanti, desiderosi di ricordare la giovane, come dimostrato da una recente serie di arresti (28 nel corso di una sola settimana) e il blocco di Internet per volere delle autorità.
Come messo in evidenza dal Guardian, le proteste scoppiate in Iran lo scorso settembre hanno rappresentato il più grande pericolo per il regime dalla rivoluzione islamica datata 1979. Anche tra il 2019 ed il 2020 il Paese è stato interessato da numerose manifestazioni (partite per via dell’aumento del prezzo dei carburanti).
Eppure quelle del 2022 hanno coinvolto una fetta molto più vasta della popolazione, diffondendosi “tra classi sociali, università, strade e scuole”. Proprio per tale ragione, in queste settimane, le autorità hanno deciso di tornare ad usare il pugno di ferro. Il 6 settembre è stato arrestato Safa Aeli, lo zio di Mahsa. Tutta la sua famiglia è stata messa sotto pressione con intimazioni ad annullare qualsiasi commemorazione della ragazza.
Inoltre, i funzionari dell’intelligence hanno convocato il padre della giovane, Amjad, chiedendogli di non rilasciare alcuna dichiarazione riguardo il primo anniversario della morte di quest’ultima. Oltre ad aver iniziato a tenere sotto controllo i suoi movimenti. La tomba di Mahsa è circondata da telecamere di sicurezza e non è permesso alloggiare in hotel che si trovano nelle vicinanze. I manifestanti, però, non si fermano.