In seguito agli attacchi da parte dell’Azerbaigian, con una serie di “operazioni anti-terrorismo”, la popolazione armena ha iniziato ad abbandonare la regione.
Sono oltre 90mila i profughi armeni che, in questi giorni, stanno lasciando il Nagorno-Karabakh. Gli sfollati stanno raggiungendo l’Armenia, in seguito agli attacchi da parte dell’Azerbaigian che, nella regione, ha dato inizio ad una serie “operazioni anti-terrorismo” lo scorso 19 settembre.
Il governo azero è riuscito nel suo obiettivo, ovvero il ritiro militare della fazione armena e separatista del Nagorno-Karabakh. Le tensioni tra l’Azerbaigian e la popolazione armena affondano le loro radici in uno straziante passato, per la precisione negli anni ’90. La situazione ha cominciato a farsi sempre più critica in seguito al crollo dell’Unione Sovietica dopo la Guerra Fredda.
Nel passaggio dalla Repubblica Socialista alla Federazione Russa, Mosca ha perso il suo potere sul blocco di Paesi che formavano l’Unione. Nel 1991 il Nagorno-Karabakh ha dichiarato l’indipendenza alla fine della prima guerra tra Azerbaigian e Armenia. Nella regione, la popolazione armena raggiungeva i 100mila abitanti. A partire da quel momento, il territorio è stato interessato da diversi pogrom.
Nagorno-Karabakh, la storia di una regione contesa
Le insurrezioni sono andate avanti fino al 1994, anno in cui azeri e armeni sono giunti ad un armistizio. Durante il periodo di “tregua” tra le due fazioni, tuttavia, non sono mancati gli scontri. Questi hanno portato, nel 2020, allo scoppio della seconda guerra del Nagorno-Karabakh.
A provocare il conflitto, è stata l’operazione militare lanciata nella regione dall’Azerbaigian, intenzionato ad ottenere il controllo totale sul territorio. A poco sono serviti gli interventi della Russia (da sempre alleata dell’Armenia), che tre anni fa ha tentato di porre fine alle tensioni sfruttando il suo ruolo di peacekeeping presiedendo il corridoio di Lachin.
Gli sforzi non sono serviti a fermare la rivalità tra azeri e armeni. Una rivalità che, anzi, negli anni ha continuato a crescere, fino ai giorni nostri. Nelle scorse settimane l’Azerbaigian ha ripreso la sua offensiva militare e la mediazione dello Stato di Vladimir Putin non ha avuto i riscontri sperati.
La sconfitta dei separatisti
La popolazione armena del Nagorno-Karabakh è stata vittima di bombardamenti. Migliaia e migliaia di manifestanti si sono riversati nelle strade di Yerevan (la capitale dell’Armenia) chiedendo l’intervento del governo. La presenza dei militari russi nella regione non è stata affatto d’aiuto per gli abitanti.
La causa è data, principalmente, dal fatto che la priorità numero uno del Cremlino, al momento, è la guerra in Ucraina. A ciò si aggiunge anche il tentativo da parte del primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, di avvicinarsi a Stati Uniti ed Europa, alla ricerca di un sostegno ulteriore per difendersi dagli attacchi azeri. Un gesto che deve aver fatto storcere il naso a Putin.
Nonostante tutto, però, l’Azerbaigian (che per diversi mesi ha fatto di tutto per isolare e piegare la popolazione armena nel Nagorno-Karabakh) è riuscito nel suo piano. A distanza di sole 24 ore dall’inizio delle “operazioni anti-terrorismo” nella regione, è giunto un cessate il fuoco. Le forze separatiste sono state costrette alla resa e, il 21 settembre, è stata presa una decisione storica.
L’Azerbaigian, insieme alle autorità del governo del Nagorno-Karabakh, ha concordato che il territorio rinuncerà alla sua indipendenza – con lo scioglimento della Repubblica – e diventerà parte dello Stato azero. A partire da domenica 24 oltre 13mila profughi hanno lasciato la regione in cerca di rifugio in Armenia. Ad ora, sono più di 90mila le persone in fuga.