Mauro Pagani riporta in scena il capolavoro musicale composto a quattro mani con Fabrizio De André. Dopo quattro decenni la magia dell’opera è rimasta intatta.
Il tempo cancella, scolora, confonde. Il tempo, però, è anche in grado di portare valore aggiunto, di far scoprire aspetti, effetti, sfumature non colte all’istante. La musica ed il tempo hanno rapporto chiaro e netto. Soltanto la MUSICA, scritta con le sue lettere rigorosamente in maiuscolo, scollina il tempo che passa e non si lascia invecchiare.
A questa categoria, così elitaria, appartiene “Creuza de ma”, capolavoro scritto e composta a quattro mani da Fabrizio De André e Mauro Pagani. Opera visionaria, apparentemente ‘folle’ per la complessità della sua struttura, nel 2024 compirà 40 anni. Fabrizio De André non è più tra noi esattamente da venticinque anni. Pertanto il ricordo di quel progetto nato tra i brontolii del genio genovese e l’ascolto della musica ‘mediterranea’ di Mauro Pagani spetta esattamente al grande polistrumentista e compositore di Chiari. “Creuza de ma” è oggi uno spettacolo che Mauro Pagani ha voluto riportare in scena. Il quarantennale dell’uscita del disco ha certamente influito su tale decisione. Ancor più determinante, però, l’irresistibile desiderio di rinforcare e riprendere in mano diversi strumenti per riproporre, riascoltare, risuonare quelle melodie che sono entrate non soltanto nella storia della canzone d’autore italiana, ma che oggi appartengono, di diritto, alla storia della musica. Semplicemente. Perché “Creuza de ma”, ovvero nel dialetto genovese, la mulattiera che solitamente delimita l’entroterra con il mare, ha ammaliato, incantato, influenzato artisti in ogni angolo del mondo. David Byrne, cantautore, produttore, nonché fondatore dei Talking Heads, lo ha definito il disco: “Più importante della world music”, il genere musicale che contiene al suo interno tutte le più innovative contaminazioni tra la musica pop e quella tradizionale.
Il racconto di Mauro Pagani di quella ‘folle’ genesi
Mauro Pagani ha rilasciato un’intervista all’edizione torinese del Corriere della Sera dove, tra le a altre cose, ha ricordato come è nata l’idea di dare vita ad un progetto quale “Creuza de ma”.
Racconta Mauro Pagani: “Ho iniziato a collaborare con lui (Fabrizio De André, ndr) dopo il disco dell’Indiano (“Fabrizio De André” del 1981). In tour viaggiavamo in macchina assieme ed ascoltavamo le cassette di ciò che facevo in studio, le musiche del mondo, soprattutto del mediterraneo. Un giorno, in mezzo ai brontolii, mi dice: “Belin, questa cosa è bellissima: basta con le influenze americane, facciamo una roba nuova, in genovese”. Il dialetto genovese che diventa protagonista assoluto all’interno di atmosfere musicali che profumano di Mediterraneo, delle sue infinite culture, dall’Africa al vicino Oriente. Atmosfere musicali che vengono cavalcate da una lingua che a volte è sconosciuta ai genovesi stessi. Un dialetto scovato da Fabrizio De André in vecchi libri o ascoltando gli antichi discorsi di anziani genovesi conditi di termini e fonemi che non sono presenti su carta ma trasmessi oralmente, come la più preziosa delle eredità. Di padre in figlio, da nonno a nipote. Così, da una visionaria follia, è nato uno dei capolavori della musica contemporanea. Oggi Mauro Pagani gli ha messo addosso dei nuovi vestiti, mantenendo intatta, la medesima magia di quell’ormai lontano 1984. Grazie, Mauro Pagani.