Farfalle nello stomaco? No, non è solo un parto della tua immaginazione

Non è soltanto la nostra immaginazione a farci sentire le proverbiali farfalle nello stomaco: c’è una spiegazione ben precisa.

Avere le farfalle nello stomaco, ribollire dalla rabbia. Quante volte avremo usato o sentito espressioni come queste? A quanto pare la prima delle due deriva dall’inglese to have butterflies in one’s stomach e si riferisce alle sensazioni sperimentate in occasione dell’innamoramento e, in senso più generale, a quelle scaturite da uno stato di ansia e di tensione nervosa.

Farfalle nello stomaco non è solo immaginazione
Farfalle nello stomaco, solo un modo di dire? – formatonews.it

A coniare il termine, il secolo scorso, fu il fisiologo britannico John Newport Langley, il primo a esaminare i meccanismi neurologici che presiedono funzioni spontanee come digestione, respirazione e circolazione sanguigna. In un secondo momento gli studi di Langley si concentrarono su quel “secondo cervello” che è il sistema intestinale, responsabile di reazioni istintive e primordiali legate alla dinamica attacco-fuga.

Per tornare alle farfalle nello stomaco, una nuova ricerca mostra che non si tratta semplicemente di metafore o di modi di dire senza fondamento alcuno. A dirlo – o meglio a ribadirlo – sono alcuni ricercatori italiani. Ecco perché la sensazione di avere le farfalle nello stomaco non è solo un parto della nostra immaginazione.

Farfalle nello stomaco: non è solo immaginazione

Il nostro cervello è in grado di associare le emozioni a sensazioni corporee. Lo ha dimostrato, per la prima volta, uno studio italiano dell’Università di Milano-Bicocca, apparso sulla prestigiosa rivista Science, che ha visto la partecipazione anche dell’Irccs Istituto Ortopedico Galeazzi.

Farfalle nello stomaco la scoperta dei ricercatori
I ricercatori italiani hanno fatto un’importante scoperta sul fenomneno delle “farfalle nello stomaco” – formatonews.it

I ricercatori italiani hanno scoperto che tristezza, felicità e paura attivano le stesse regioni del cervello che rispondono a esperienze tattili e motorie. Già in passato diversi studi erano riusciti a dimostrare che a livello comportamentale le nostre emozioni sono associate a alcune specifiche parti del corpo umano.

Rimaneva però ancora una cosa da capire. Ovvero, spiega a Ansa lena Nava, una delle autrici della ricerca guidata da Michelle Giraud, «quanto specifiche aree cerebrali, tipicamente coinvolte nell’elaborazione di sensazioni tattili e motorie, partecipassero alla generazione di specifiche emozioni». Il team italiano lo dimostrato per la prima volta a livello neurofisiologico.

Gli scienziati hanno potuto avvalersi della risonanza magnetica funzionale a 3 Tesla, un’apparecchiatura di ultima generazione capace di generare immagini ad altissima definizione. In questo modo sono stati in grado di registrare, in un campione di 26 partecipanti, quale area del cervello venisse attivata dalle stimolazioni, tattili e motorie, o di tipo emotivo.

Così facendo i ricercatori hanno creato due mappe che, sovrapposte, sono servite loro per dimostrare che alcune aree cerebrali si attivano in seguito a entrambe le tipologie di stimolazione. «Si dimostra così l’idea di un’esperienza ‘incarnata’ delle emozioni – spiega Nava – e quindi la necessità di esperire a livello tattile e motorio le emozioni per poterle generare e sentire consciamente».

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