Fare la vittima può procurarci un momentaneo sollievo. Ma alla lunga ci rovina la vita. Ecco come riconoscere quando ci piangiamo addosso.
Siamo sinceri: a chi non è mai capitato di rintanarsi nel lettuccio, di rimboccarsi le coperte e poi… eccola lì che fa capolino: la lacrimuccia di rito che riga il volto, prontamente accompagnata dall’altrettanto immancabile pensiero: «Nessuno mi capisce veramente… ».
Benvenuti nel club del piagnisteo, frequentato esclusivamente da vittimisti di professione. Perché in fondo, confessiamolo, piagnucolare e atteggiarsi a vittima fa comodo e ci fa sperimentare anche un oscuro piacere. Talvolta, quando le situazioni della vita sembrano sfuggirci di mano, rispondere con la lamentela perpetua – detta anche lamentite – può sembrare una tattica vincente.
Mai dimenticare però che una tattica efficace nel breve termine non necessariamente corrisponde a una strategia vincente a lungo termine. Anzi, a lungo andare può rivelarsi un boomerang. Come accade col vittimismo, che rischia di rovinarci davvero la vita. Ecco allora i tre segnali tipici di chi si piange sempre addosso.
I tre segnali del vittimismo
Il vittimismo è malsano perché non fa altro che trasformarci in spettatori passivi della nostra esistenza, facendoci introiettare la convinzione di essere in balia di eventi destinati a sopraffarci. Meglio dunque atteggiarsi a vittime: della società, del destino crudele, dell’ingratitudine della gente e via discorrendo.
Il primo segnale del vittimismo potremmo chiamarlo la “sindrome di Calimero”, tipica posa di chi passa il suo tempo a lamentarsi e a compatirsi. Piagnucolare a ciclo continuo sulle proprie disgrazie: non è la definizione stessa del piangersi addosso? «Ce l’hanno tutti con me perché sono piccolo e nero». È la frase caratteristica dello sconsolato pulcino, eterno e tristissimo incompreso, che cova un po’ in tutti noi.
C’è anche un secondo segnale del vittimismo e che si potrebbe invece definire come la “sindrome dello scaricatore di torto”. Lo scaricatore di torto è abituato a puntare sempre il dito sulle mancanze (spesso presunte) del prossimo, addossando regolarmente agli altri le colpe della sua situazione. La sua frase tipica? «È sempre colpa degli altri». Incolpare il prossimo come facile scappatoia, in sostanza, per proiettare all’esterno le cause dei propri mali.
Infine c’è il terzo segnale: la “sindrome del disimpegnato”. Chi si piange addosso, fateci caso, non fa nulla per migliorare davvero le cose. Lo sentiremo sempre ripetere frasi come: «Non posso farci niente», «Non dipende da me» e via dicendo. Uno dei segnali più evidenti del vittimismo è la scarsa – per non dire nulla – propensione a impegnarsi in prima persona per dare una svolta in positivo alla propria esistenza. Macché! Inerzia totale.
In fin dei conti piangersi addosso e fare la vittima è un comodo espediente, una scorciatoia per scaricare sul mondo le proprie responsabilità. In altre parole è un sintomo di immaturità. Come se volessimo rimanere eternamente bambini, mettendoci nella condizione di chi dipende in tutto e per tutto dagli adulti. Si dirà che almeno così potremo concederci un momentaneo sollievo dalla fatica di vivere. Indubbiamente. Al prezzo però di impedire alla nostra personalità di crescere veramente. Ne vale davvero la pena?