Big Fish 21 anni dopo: tutto sul film di Tim Burton

Big Fish compie ventuno anni, ma resta uno dei film più equilibrati e toccanti di Tim Burton. Un viaggio tra realtà e fantasia che non ha mai perso il suo fascino. È ancora il suo film più riuscito?

Tim Burton ha sempre giocato sul filo tra fiaba e malinconia, ma c’è un film in cui questo equilibrio sembra perfetto. Parliamo di Big Fish (2003), una storia che mescola realtà e fantasia con una naturalezza quasi magica. È davvero il suo lavoro più riuscito? Oppure è solo il più armonioso? Domande che, a ventuno anni di distanza, continuano a far discutere critici e fan.

film Big Fish
Big Fish 21 anni dopo: tutto sul film di Tim Burton – Screenshot Youtube – formatonews.it

C’è qualcosa in Big Fish che lo rende unico nel percorso di Burton. Non è solo una questione di stile o di temi ricorrenti. Qui la narrazione non pende mai troppo da una parte, come accade in altri suoi film. Non è gotico come Edward mani di forbice, né grottesco come Beetlejuice. È una storia di vita e di sogni raccontata con un tocco che non ha mai più replicato così bene. Perché proprio questo film è riuscito dove altri hanno oscillato?

Edward Bloom e l’arte di reinventarsi attraverso i racconti

Questo film è personale, forse il più intimo della sua carriera. Non è un caso che abbia deciso di realizzarlo in un momento cruciale della sua vita: poco prima delle riprese, ha perso entrambi i genitori e, quasi contemporaneamente, è diventato padre per la prima volta. Una coincidenza quasi cinematografica, un passaggio di testimone tra generazioni che sembra uscito direttamente dal copione del film. Questo ha reso la storia di Edward e Will Bloom ancora più significativa per lui. Era il modo perfetto per affrontare il lutto e, allo stesso tempo, riflettere sul significato di tramandare qualcosa a un figlio.

La storia di Big Fish ruota tutta attorno al potere del racconto. Edward Bloom, il protagonista, è un uomo che ha vissuto una vita incredibile… o almeno così dice lui. Le sue storie sono piene di giganti, streghe, città segrete e amori leggendari. Ma il figlio, Will, non ne può più. Per lui, quelle storie sono solo bugie, una maschera dietro cui il padre si nasconde per evitare un rapporto vero. Vuole la verità, quella cruda, senza fronzoli. E qui sta il cuore del film: è davvero meglio una storia reale ma noiosa, o una esagerata che riesce a trasmettere qualcosa di più profondo? Quando il medico racconta a Will il modo semplice e banale in cui è nato, lui si trova davanti a una realtà inaspettata. Era questo che voleva? O forse la versione piena di avventura del padre aveva un valore che non aveva mai capito?

film Big Fish
Edward Bloom e l’arte di reinventarsi attraverso i racconti – Screenshot Youtube – formatonews.it

Burton non ha mai scritto direttamente i suoi film, ma li ha sempre plasmati a modo suo, curando ogni dettaglio visivo e narrativo. Per Big Fish ha voluto un equilibrio perfetto tra realtà e fantasia, qualcosa che non aveva mai fatto prima in modo così netto. Se nei suoi film precedenti la componente fiabesca era sempre molto evidente, qui riesce a far convivere due piani narrativi senza che uno soffochi l’altro. I flashback della giovinezza di Edward sono colorati, vivaci, quasi surreali, mentre il presente è più cupo, più concreto. Ma non esiste una netta separazione tra i due mondi: la fantasia filtra ovunque, persino nei momenti più reali. E alla fine, realtà e immaginazione si fondono in un modo che ha lasciato il segno nel cinema di quegli anni.

Anche il cast ha avuto un ruolo enorme nel rendere questo equilibrio così efficace. Ewan McGregor ed Albert Finney interpretano Edward in due fasi della vita e riescono a farlo sembrare la stessa persona senza bisogno di effetti speciali o trucco eccessivo. McGregor incarna perfettamente l’Edward giovane, entusiasta e pronto a vivere un’avventura dietro l’altra. Finney, invece, dà al personaggio quella saggezza stanca di chi ha raccontato le stesse storie troppe volte, ma sa che senza di esse non sarebbe nessuno. Billy Crudup, nei panni di Will, è l’anima scettica della storia, quello che mette in discussione tutto. Ma il film non lo trasforma in un semplice oppositore: la sua evoluzione è fondamentale per capire il messaggio della pellicola.

Il finale è un capolavoro di emozione e regia. Will, dopo aver passato una vita a rifiutare le storie del padre, fa l’unica cosa che può davvero dargli pace: inventa lui stesso una storia per Edward. Un racconto fantastico su come morirà, circondato da tutte le persone incredibili che ha incontrato nella sua vita. In quel momento Will capisce che il padre non ha mai mentito, ha solo scelto di raccontare la vita nel modo in cui voleva ricordarla. E non è forse quello che facciamo tutti? Il modo in cui percepiamo il nostro passato è sempre un po’ distorto, modellato dai sentimenti, dalla nostalgia, dalle esperienze.

Forse per questo il film ha colpito così tanto il pubblico. Perché tutti abbiamo avuto un genitore, un nonno o uno zio che amava raccontare storie e magari le arricchiva un po’ ogni volta. E tutti ci siamo chiesti, almeno una volta, quanta verità ci fosse in quei racconti. Ma alla fine importa davvero? O il valore di una storia sta proprio in quello che ci lascia dentro, indipendentemente dalla sua autenticità?

A distanza di ventuno anni, Big Fish continua a emozionare perché non è solo un film sulla fantasia, ma sul rapporto tra le persone, sulla difficoltà di capirsi e sulla bellezza di tramandare qualcosa. È la dimostrazione che, anche quando non possiamo più parlare con chi abbiamo amato, le loro storie restano con noi. E in un certo senso, li rendono immortali.

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